La Vera Storia Della Città Di Harappa E Della Civiltà Mohenjo-daro

Storia delle due antiche città perse nel vuoto
I siti Harappa e Mohenjo-daro rimangono enigmi per gli archeologi contemporanei: molte delle loro peculiarità sono infatti sconosciute. Le due città della Valle dell'Indo nell'attuale Pakistan hanno dato i natali dal 2000 aC a una fiorente civiltà, apparentemente dal nulla e che da allora è tornata a nulla.
Le loro strutture rappresentano un esempio di urbanistica moderna che lascia letteralmente a bocca aperta gli architetti del nostro tempo. Non ci è dato di sapere da dove proviene tale conoscenza. L'enigma è ancora oscurato dalla toponomastica: Mohenjo-daro era infatti chiamato il "tumulo dei morti", il che rende l'atmosfera di questo luogo dominata dall'impressione dell'abbandono ma anche per molti aspetti da quella delle costruzioni perfette.
Intorno al 1500 a.C., Harappa e Mohenjo-daro erano deserte, lasciate a pascolare nella polvere: nessun segno di lotta o distruzione, solo tonnellate di sabbia che sembrano aver inghiottito per sempre i segreti delle due città.
Gli scavi effettuati dagli archeologi nel 1944, infatti, non hanno portato alla luce elementi che consentano la ricostruzione dell'organizzazione politica di queste due "metropoli dell'antichità"; come se tutto fosse stato deliberatamente nascosto, per dissipare per sempre il ricordo.
Il culto della dea madre nella cultura di Harappa
Il mistero prevale anche a livello religioso, anche se gli scavi hanno permesso di scoprire alcune effigi di divinità femminili, a testimonianza, secondo gli esperti, del culto dedicato alla dea madre.
Diverse culture hanno costruito, attorno all'archetipo della madre, una dimensione sacra profondamente radicata nei riti tradizionali e nella psicologia degli uomini di tutti i tempi. L'archeologia ha confermato che le religioni del passato erano caratterizzate da una grande diversità di divinità femminili, da cui derivavano culti e tradizioni che, ancora oggi, in questi tempi apparentemente così distaccati dalle cose della mente, esercitano un'influenza sugli uomini.
Per Jung, troviamo nell'archetipo materno le radici dell'autorità femminile magica, della saggezza, dell'ascetismo spirituale che trascende i limiti dell'intelletto: ospita ciò che è benevolo, protettivo, tollerante, che favorisce la crescita, la fertilità, l'alimentazione e la rinascita. La madre, accanto al padre creativo, rappresenta dunque l'elemento essenziale in cui il potere è ritualmente contenuto, tra i due combattenti in un duello che dura da quando esistono le religioni.
Sembra che la grande distinzione tra uomini e donne in termini di potere sia apparsa tra il 3500 e il 2500 a.C., in seguito alla marcata influenza delle invasioni da oriente, quando il modello matriarcale, altrimenti tipico della società agricola, fu soppiantato dalla cultura patriarcale basata sulla guerra, caccia e un'economia predatoria e distruttiva. L'evoluzione delle divinità femminili ha dato origine a molte rappresentazioni positive o negative, considerate diversamente a seconda della civiltà. La dea madre è una fonte di vita, una figura chiave nelle prime culture basate sulla comunità, in particolare di origine agricola, per le quali è garante dell'immortalità e della rinascita. Se la dea madre è generativa, il dio padre è, come abbiamo già detto, creatore: le società patriarcali inventano un dio padre guerriero, valorizzandone la razionalità, la forza e la luce; d'altra parte, nelle società matriarcali, i valori, come il mistero, la luna e l'acqua in opposizione al fuoco, occupano un ruolo preponderante.
L'archetipo primitivo della madre ha subito molti cambiamenti nel tempo; Il cristianesimo vi si conforma preservando alcuni elementi simbolici tipici del mondo pagano. Tutto ciò suggerisce che esiste una sorta di continuum che collega direttamente il mondo antico con il mondo moderno. Al di là delle reminiscenze culturali e degli archetipi inscritti nella nostra mente, l'ambiente ha sicuramente giocato un ruolo importante nella celebrazione della sacralità del femminile.
